Senza gli occhi della tigre
Fiorentina fragile e senza rincalzi all’altezza. Sousa deve tornare a fare lo psicologo
I famosi “occhi della tigre”. Un atteggiamento mentale che si rispecchia in un’inconfondibile espressione del volto, proprio quell’espressione di cui non c’è stata traccia nella Fiorentina che ha affrontato il Verona domenica scorsa. Eppure i tre punti erano vitali perché i viola si giocavano tutte le chance per restare agganciati al treno Champions, per mettere pressione alla Roma, per tenere a distanza un’Inter in rimonta. Insomma servivano una prestazione gagliarda, una determinazione feroce, una fame di vittoria che avrebbe dovuto annichilire l’avversario, ormai condannato ad una retrocessione annunciata. E invece è accaduto l’esatto contrario: la Fiorentina è scesa in campo senza mordente, quasi si trattasse di un allenamento destinato, in un modo o nell’altro, a concludersi con una vittoria per grazia ricevuta. Molti giocatori che, fino a domenica, avevano trovato poco spazio avrebbero dovuto “bruciare l’erba” sotto i loro piedi per dimostrare di valere una maglia da titolare. Su tutti Babacar che, invece, ha fallito clamorosamente la sua grande occasione, probabilmente tradito da una connaturata pigrizia più mentale che fisica. Come lui hanno fallito, per ragioni diverse, i vari Tino Costa, Manuel Pasqual (duole dirlo perché al capitano viola ci siamo tutti molto affezionati), Mati Fernandez e altri ancora. Ma non è giusto gettare la croce addosso solo su alcuni singoli perché tutta la squadra ha mostrato un’ingiustificata fragilità motivazionale, anche nei suoi leader riconosciuti, tendendo a vivacchiare dopo aver trovato il gol con Zarate e pensando solo a far scorrere il cronometro, nella (poi vana) speranza di condurre in porto uno striminzito 1-0. Un’involuzione profonda rispetto alla mentalità da battaglia mostrata in tutto girone d’andata e riemersa prepotentemente nella gara contro il Napoli dalla quale sembrano essere trascorsi anni luce e non appena due settimane. Ed anche Paulo Sousa, stavolta, non può essere esente da colpe, visto che il principale motivatore di una squadra è, per definizione, proprio l’allenatore. Dunque è principalmente su questo aspetto che dovrà lavorare a fondo il tecnico portoghese, svestendo i panni di alchimista di un improbabile turn over e tornando a fare lo psicologo, come aveva fatto egregiamente a inizio stagione. Occorre, infatti, intervenire soprattutto sulla testa dei giocatori per ricreare quel “sacro fuoco” che aveva consentito alla Fiorentina di superare i propri limiti e quelle lacune di mercato di cui è, indiscutibilmente, responsabile la società. Perché senza “gli occhi della tigre” la Fiorentina rischia di piombare nella mediocrità e sarebbe un delitto gettare alle ortiche l’ottimo lavoro svolto per almeno tre quarti di stagione.
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