Il “Dottore” del miracolo viola
Fulvio Bernardini lo chiamavano “Fuffo”, abbreviazione del nome di battesimo, ma anche “Il Dottore” perché era laureato in Scienze Economiche. Testimonianza, quest’ultima, di quanto nella sua vita non ci fosse solo il pallone. “Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio”, ha recentemente detto Josè Mourinho, citazione che calza a pennello al personaggio Bernardini, uomo poliedrico dentro e fuori dal campo. Da calciatore lo era talmente tanto da aver ricoperto praticamente tutti i ruoli: dal portiere all’attaccante, passando per il centrocampista. Una versatilità che gli permise di raggiungere la Nazionale, nella quale collezionò 26 presenze. Poi decise di sedersi in panchina e, da allenatore, raggiunse l’apice, entrando nel mito del calcio, grazie al gioco arioso delle sue squadre, votate sì all’attacco, ma sempre ben protette in difesa. Arrivò a Firenze nel 1953 e la costruzione della sua Fiorentina, che diventerà la più grande di sempre, parte dalla linea difensiva: Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta, Segato. Il disegno tattico era il “Sistema”, allora in gran voga, ma con un correttivo: il libero. Un ruolo che, in viola, veniva interpretato da Beppone Chiappella che, solo nelle azioni difensive, retrocedeva a vertice basso, scalando dalla posizione di mediano. L’altra mossa geniale fu quella dell’ala tornate, perfettamente interpretata da Maurilio Prini, inizialmente inserito per l’infortunio di Bizzarri e diventato, poi, titolare inamovibile per la sua straordinaria capacità di aiutare il centrocampo e di consentire all’estroso Miguel Montuori di accompagnare l’azione offensiva del centravanti “Pecos Bill” Virgili. Ma Bernardini non era solo uno stratega della panchina, aveva anche un gran fiuto nella scelta dei giocatori e così, quando andò in Svizzera a studiare i Mondiali, se ne tornò con un solo nome in testa, quello di Julinho. Il brasiliano, insieme a Montuori (pescato in Cile su segnalazione di un prete italiano) sarà il “fattore imprevedibilità” della sua meravigliosa Fiorentina che polverizzerà tutto i record, vincendo il campionato con 12 punti di vantaggio e perdendo solo una partita, l’ultima, a Genova contro il Genoa. Nelle sue 4 stagioni in viola arriveranno il primo tricolore della storia, due secondi posti e la finalissima di Coppa dei Campioni (la Fiorentina fu la prima squadra italiana a giocarla) persa a causa di incredibili torti arbitrali contro il Real Madrid del grande Di Stefano. Poi la decisione di separarsi e di accettare l’offerta della Lazio, squadra nella quale era cresciuto calcisticamente, fino a indossare la fascia di capitano. In biancoceleste arrivò un altro successo: la Coppa Italia del 1958, il primo trofeo ufficiale della storia laziale vinto, ironia della sorte, battendo in finale proprio la Fiorentina. La sua carriera di allenatore proseguirà a Bologna (con la conquista dello Scudetto nel 1963-64) a Genova (sponda Samp) e in Nazionale. Da Ct, nel 1974, sarà lui a far esordire Giancarlo Antognoni ad Amsterdam, nella sfida contro l’Olanda di Cruyff. L’ultimo regalo a Firenze del “Dottore dei sogni” viola.
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