Con il cuore in mano, per salvare Firenze
E adesso sono guai. La sconfitta con la Roma rigetta la Fiorentina nella melma dei bassifondi della classifica e sente il respiro del Cagliari alle proprie spalle. I sardi, rigenerati dall’arrivo di mister Semplici e dall’entrata della Sardegna nella mitica zona bianca, hanno rubato sei punti alla Viola in due giornate. Eppure la partita con i giallorossi non è stata così terribile e il punticino, alla fine, la Fiorentina avrebbe potuto portarlo a casa. E nemmeno immeritatamente. C’era stato, vero, il gol della Roma, con Spinazzola lasciato incredibilmente libero a pochi metri dalla porta: “vai te, vado io” sembravano dirsi i difensori mentre il terzino giallorosso colpiva al volo e aveva la meglio su un non del tutto incolpevole Dragowski. Per fortuna lo stesso Spinazzola aveva poi provveduto a segnare nella propria porta il pareggio, su cross di Biraghi, rimettendo le cose a posto.
La partita sembrava, a quel punto, mettersi bene per la Fiorentina. La Roma attaccava con poca finalizzazione (senza Dzeko è dura per tutti) e per Vlahovic e Ribery potevano aprirsi spazi invitanti. Nel frattempo nella Viola, sull’uno a zero, era entrato anche Kokorin al posto dell’infortunato Castrovilli. Una mossa non del tutto prandelliana, le tre punte in campo. Ma il tutto sembrava incredibilmente funzionare. Siccome però il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, dopo il pareggio Prandelli si è ricordato di essere, appunto, Prandelli e ha tolto Ribery e Pulgar, per mettere Caceres e Borja Valero. Una decisione conservativa, forse troppo. Kokorin non è in condizione, e chissà mai quando lo sarà (se Callejon sta peggio di lui non siamo messi bene a Firenze). Vero che la Roma non ha fatto cose inenarrabili, ma sono bastati un cross e un tocco di Diawara, al limite del fuorigioco ‒ e infatti il VAR ci ha messo un bel po’ per convalidare ‒ per portare la partita sul due a uno e gettare la Firenze calcistica nello sconforto.
Sì, perché adesso la situazione si fa davvero complicata. Prandelli sembra aver virato verso la modalità “meglio un punto che niente”. Peccato però che tra Udinese e Roma non sia arrivato nemmeno quello, nonostante la buona volontà di tutti. I giocatori ora potrebbero cominciare ad avere paura. Probabilmente ci vorrebbe la proprietà a confortare, a urlare, a spronare, ad ascoltare. Ma Commisso è lontano, il figlio non è la stessa cosa e il telefono non è sufficiente se c’è un oceano di mezzo. Quindi, visto che da qui a maggio i giocatori sono questi, questi dovranno rimboccarsi le maniche e tirar fuori ciò che è rimasto. Perché l’impressione è che dipenda quasi tutto da loro, d’ora in poi. Senza più alibi. Da qui a maggio sono tutte finali da giocare con il cuore in mano. Per salvare Firenze dal disastro calcistico.
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