Montuori, il Michelangelo viola bersagliato dalla sfortuna
Miguel Angel Montuori è stato tra i numeri 10 più forti della Fiorentina. Aveva i lineamenti da indio e il fisico minuto, ma il suo genio e la sua tecnica erano straripanti. Segnava tanti gol e, al tempo stesso, sapeva mettersi al servizio dei compagni, dispensando assist e giocate raffinate. A portarlo a Firenze fu il direttore sportivo Giachetti che andò a prenderlo fino in Cile, su segnalazione di un sacerdote italiano, padre Volpi, che lo aveva visto giocare nell’Universitad Catolica di Santiago. Nato a Rosario, in Argentina, il 24 settembre 1932, Montuori sbarcò a Firenze nel 1955 e vinse subito lo Scudetto, segnando 13 reti in campionato (secondo solo al centravanti Virgili che ne realizzò 21). Il suo talento fece innamorare Fulvio Bernardini che non lo tolse mai di squadra, affidandogli la prestigiosa maglia numero 10. Nei successivi campionati in viola arrivò per 4 volte consecutive al secondo posto, giocando la finale di Coppa dei Campioni nel 1957 e vincendo la Coppa delle Coppe nel 1961. Ma la sua carriera non fu tutta rose e fiori. Anzi Montuori fu bersagliato dalla sfortuna: proprio nel 1961, in fase di recupero da un infortunio, l’argentino (già naturalizzato italiano) fu mandato in campo dall’allora allenatore Hidegkuti, nella squadra riserve per testare le sue condizioni. Si giocava a Perugia e, nel corso della gara, fu colpito alla tempia da una forte pallonata. Miguel Angel perse coscienza, poi si riprese. Ma al mattino seguente cominciò a vedere doppio, afflitto da una grave forma di diplopia. L’unica cura prescrittagli fu il riposo assoluto che lo costrinse a letto per 3 mesi. Dopo di che fu operato a Padova, ma il verdetto fu impietoso: non avrebbe potuto più giocare al calcio. Così, ad appena 28 anni, si trovò a dover cominciare una nuova vita nella quale fece un po’ di tutto, anche il giornalista, grazie all’interessamento del direttore del Brivido Sportivo Paolo Melani che avrà un ruolo importante anche nel prosieguo della sua vita. Nel 1963 un altro problema di salute: un aneurisma, forse dovuto al precedente intervento che gli aveva causato problemi di mobilità, che lo costrinse a finire nuovamente sotto i ferri a Careggi. Poi tentò la carriera di allenatore, guidando Pontassieve, Aglianese e anche le giovanili del Montecatini. Ma non riuscì a trasferire in panchina il suo talento di calciatore, cominciando ad attraversare difficoltà economiche che lo spinsero a vendere la casa fiorentina per tornare in Cile con la famiglia, nel 1971. In Sudamerica provò, senza successo, a proseguire la carriera di tecnico. Fino al 1988 quando, su iniziativa degli ex compagni dello Scudetto del 1956 e di Paolo Melani, fu invitato a Firenze per la celebrazione dei migliori numeri 10 della storia viola. Una volta arrivato con la moglie Teresa (due dei suoi figli si erano già trasferiti da tempo in città), fu accolto con grande calore e gli ex compagni lo convinsero a non riprendere più il volo di ritorno e ad accettare in regalo un appartamento all’Isolotto che divenne la sua nuova casa. Montuori ebbe anche un impiego alla biblioteca comunale e il presidente dell’Isolotto Calcio gli offrì l’incarico di supervisore delle giovanili. Lavoro a cui Montuori si dedicò con grande dedizione, scoprendo il talento di Francesco Flachi che segnalò alla Fiorentina. La sua vita finì il 4 giugno del 1998, esattamente 20 anni fa, quando un male incurabile lo strappò all’affetto dei suoi cari e di tutti i tifosi viola che ebbero la fortuna di vederlo giocare.
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