CANZONE PER DUE AMICI
Voglio però ricordati com’eri /e che come allora sorridi”. Viene in mente Guccini, la sua “Canzone per un’amica”, a rivedere quella foto della festa per i novant’anni della Fiorentina.
Astori e Mondonico, Emiliano e Davide, che si danno la mano, lontani negli anni ma parenti stretti per umanità e passione, scambiandosi un sorriso bello e contagioso. Il sorriso è la distanza più breve fra le persone, l’abbiamo letta da qualche parte, e ci pare bella. Guccini cantava la perdita di un’amica in un incidente stradale, qui gli amici sono due, e il modo in cui Firenze, non solo Firenze, li ha ricordati e continuerà a ricordarli, aiuta, per quanto possibile, a pensarli com’erano. Come nella foto.
Chi scrive, ha incontrato la prima volta Mondonico più o meno a metà degli anni Ottanta. Era venuta fuori da poco la storia della tessera ad honorem consegnatagli, a lui dichiarato tifoso viola, controcorrente per la sua sincerità in un calcio che poco gradisce confessioni del genere dai suoi protagonisti per ragioni di piazza, dal Settebello. E così, alla vigilia di un’Atalanta-Fiorentina, ci presentammo, inviato de “La Nazione”, a Zingonia, il centro di allenamento atalantino. Con un fac simile della tessera, per avviare l’intervista, e cercare di darle un forte tocco di viola. Tentativo riuscito a metà, l’Atalanta stava lottando per non retrocedere, la Fiorentina la sopravanzava nettamente in classifica (all’epoca funzionava così), Mondonico fu cortese ma molto attento, per dovere di ruolo, a non prestare particolare attenzione alle domande sulla sua fede viola. Lui, unico ragazzo tifoso della Fiorentina in quelle campagne lombarde negli anni ’50, un po’ dietro indicazione della madre che gli aveva regalato un maglia viola, un po’ per distinguersi da tutti gli altri coetanei, assecondando il suo spirito ribelle. In questo modo di essere contro, in quanto a spirito era fiorentino perfino a sua insaputa, fin dall’adolescenza. Mondonico, come ha scritto molto bene su “Repubblica” l’amico Emanuele Gamba, brillantissima e granatissima penna prestata da anni per esigenze di servizio alle cronache bianconere, è stato “un uomo di eterna minoranza”. Fin dall’inizio della sua storia, appunto. Quel giorno a Zingonia, dunque, nonostante l’inevitabile imbarazzo del momento, Mondonico si arrese alla sua passione per la Fiorentina quando, forse involontariamente da parte nostra, il discorso scivolò su Hamrin. Era stato un grande appassionato di “Uccellino”, il Mondo. Ad avvicinarli, la stessa maglia, il numero 7, che lui aveva indossato anche nel Torino, quando fu scelto per sostituire Meroni, i calzettoni abbassati, e una complicità fra ali destre. Prima delle gabbie tattiche, l’ala destra non era un ruolo, ma molto di più. Un’identità, forse anche un modo di stare al mondo. Se il 10 era, e forse lo è tuttora, per eccellenza la maglia della classe, il 9 quella del gol, l’11 quella di Gigi Riva e stop, il 7, in ogni caso quel ruolo, è la maglia dell’allegria, dell’imprevedibilità, della leggerezza, del dribbling. Nella storia viola, per non parlare di Garrincha, Best, o allo strepitoso Bruno Conti del mundial ’82, si va da Julinho a Chiarugi, a Bertoni, per arrivare a Cuadrado, Joaquin. Oggi, Chiesa. Con grandi eccezioni, più tattiche, come Mimmo Caso. La grande diversità di Hamrin sta tutta nei suoi 150 gol in campionato, giù il cappello, superato solo da Batistuta. Anche la prima maglia di Antognoni portava il numero 7, solo perché il 10 era ancora riservato a Picchio De Sisti. Il ruolo in fondo più anarchico e tradizionale al tempo stesso, come piaceva a Mondonico. Poi lo seguimmo con la sua Atalanta in quella sorprendente scalata all’Europa, che si concluse nella semifinale di Coppa delle Coppe ’87-88 contro il Malines, la seconda squadra di Bruxelles, del portiere Preud’homme, istituzione del calcio belga. Era l’Atalanta di Stromberg, Fortunato, del portiere Piotti, di Bonacina, Icardi, del centravanti Cantarutti. Per ritrovarlo nel suo breve, intenso viaggio sentimentale sulla panchina viola, allenatore-tifoso, e viceversa, con l’orgoglio di aver riportato la sua Fiorentina, sua in molti sensi, in serie A. Poco più di una stagione, prima dello strappo, quanto è bastato però per assegnargli un ruolo preciso nella storia viola. Per quella promozione e per il rapporto molto stretto, di comune passione, con il tifo del “Franchi”. Quel suo modo di condividere e partecipare che veniva anche prima dei risultati, se un paradosso del genere può avere un senso nel calcio. Mondonico non ha avuto il tempo e il modo per mettersi in concorrenza con gli allenatori più importanti della storia della Fiorentina, a cominciare da Bernardini e Pesaola, per continuare con Chiappella, Valcareggi, Liedholm, De Sisti, Ranieri, Prandelli, ma per quanto riguarda il legame romantico con il pubblico, più che per i risultati, può essere accostato ad Agroppi, con una storia simile fra il granata e il viola. Pioli, in questo, assomiglia a Mondonico. Neanche per l’attuale allenatore Firenze è stata solo una scelta professionale.
Starebbe benissimo nell’armadietto di Pioli, ammesso che non sia già appesa lì dentro, questa foto di Mondonico e Astori, sorridenti, che si danno la mano, in quella bella sera, al tempo stesso, tutta fiorentina e viola.
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