Di Livio, il Soldatino che saltò la barricata
Cuore e corsa, tanta corsa. Senza sosta, su e giù per la fascia. Perché ciò che contava per lui era onorare la maglia, qualunque casacca avesse addosso. Angelo Di Livio dava sempre tutto se stesso in campo, fino all’ultima goccia di sudore ed è per questo che è riuscito in un’impresa assai rara: farsi amare da due popoli così diversi e distanti fra loro, come quello viola e quello bianconero.
La storia calcistica di “Soldatino” parte nella sua Roma. A proposito, quel soprannome glielo affibbierà un certo Roberto Baggio ai tempi in cui i due giocavano insieme nella Juventus. “Per il mio modo di correre con le braccia distese sui fianchi” spiegherà lo stesso Di Livio. Roma, dicevamo, la maglia per la quale ha confessato di tifare, d’altronde è nato nella Capitale nel 1966, ma che non è mai riuscito a vestire in serie A. Il club giallorosso, infatti, lo manda a farsi le ossa in giro per l’Italia prima a Reggio Calabria, poi a Nocera Umbra e infine a Perugia. Qui, in serie C2, il giovane Di Livio s’impone e viene acquistato dalla società umbra con la quale disputa anche un campionato di C1 per poi trasferirsi a Padova dove debutta nella serie cadetta. In Veneto sembra poter mettere radici e, infatti, disputa 138 partite in 4 stagioni. Ma il bello deve ancora venire perché quel ragazzo tutto cuore e corsa ruba l’occhio di Giovanni Trapattoni che “costringe” la Juve a investire 4 miliardi delle vecchie lire su un giocatore che, fino a 27 anni, non aveva mai visto la serie A. Così Di Livio diventa “Soldatino” al servizio di grandi campioni come Baggio, Vialli e Del Piero (che era stato suo compagno di squadra nel Padova). Arrivano scudetti, la Coppa dei Campioni nel 1996 e l’Intercontinentale. Gli anni passano, ma lui migliora col tempo, come il vino buono. In Nazionale diventa titolare a oltre trent’anni e l’ultima partita la giocherà al mondiale nippo-coreano, poco prima di compierne 36. Dopo 6 stagioni il feeling con la Juventus s’indebolisce, l’allenatore Marcello Lippi lo ritiene ormai avviato sul viale del tramonto. Ma il Trap la pensa in modo diametralmente opposto, chiamandolo a saltare la barricata per vestire la maglia viola. Un passo complicato per Di Livio che, nel frattempo, è diventato un simbolo della juventinità. Le difficoltà, però, durano poco: una volta indossata la casacca gigliata, “Soldatino” ricomincia correre su e giù per la fascia perché per lui la maglia va onorata fino all’ultima goccia di sudore. E questo i tifosi lo apprezzano, eccome se lo apprezzano. E Di Livio la loro stima se la conquista partita dopo partita, battaglia dopo battaglia, al fianco di Batistuta, Toldo e Rui Costa. E’ tra gli eroi che sbancano Wembley nel 1999. E’ nel gruppo che alza al cielo l’ultimo trofeo della storia della Fiorentina, la Coppa Italia del 2001. Ma, soprattutto, è l’unico di quel gruppo che, nonostante la società di Vittorio Cecchi Gori sia travolta dal fallimento, decide di restare in viola, di ricominciare dai campi di provincia della serie C2 per riportare Firenze dove merita di stare. Per compiere l’ultima impresa della sua grande carriera, tornare in serie A, da protagonista, con la maglia viola. Missione compiuta “Soldatino” e grazie di tutto.
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