Sinisa, cronaca di un amore mai nato
Sinisa Mihajlovic sbarcò a Firenze nel giugno 2010 e trovò un cumulo di macerie. Si stava esaurendo nella maniera peggiore possibile – la squadra aveva abbandonato l’allenatore – l’indimenticabile era Prandelli, che aveva sancito la rinascita della Fiorentina in Italia ed in Europa con quattro consecutive qualificazioni alla Champions League (di cui due vanificate dalla scandalosa vicenda Calciopoli).
La squadra viola aveva subito uno dei torti più scandalosi della storia della Champions League (la convalida del gol di Klose a Monaco), era uscita ingiustamente da un torneo iniziato con una cavalcata meravigliosa (vittoria del girone contro Liverpool, Lione e Debreceni) e stava planando tristemente e senza obiettivi verso la conclusione del campionato.
Oramai priva di entusiasmo e con tanti calciatori prosciugati di energie, la Fiorentina aveva appena salutato il suo profeta, Prandelli, “esiliato” alla guida della Nazionale, e si preparava ad abbracciare Mihajlovic. L’allenatore serbo invece era carico a mille, reduce da un girone di ritorno strepitoso alla guida del Catania.
Sinisa nei giorni del suo arrivo avvertì un preoccupante clima di depressione, quasi di rassegnazione e come sua consuetudine provò ad erigersi a leader, a capopopolo dei nuovi sogni di Firenze. Nel giorno della sua presentazione fece una sparata destinata a scuotere l’ambiente: “La Fiorentina in Italia può giocarsela con tutte le altre, siamo da Champions League”.
Molti cronisti e anche la piazza si annotarono, ridacchiando, il proclama, pronti ad usarlo come un boomerang nei momenti difficili.
Forse il distacco da Prandelli fu accelerato dagli eventi (clamorosa la rottura con Diego Della Valle, che si dimise da patron in polemica aperta con la tifoseria), ma, chissà perché, si ebbe la sensazione di una certa premeditazione e diffidenza di Firenze nei confronti di Sinisa.
Nella conferenza stampa di presentazione addirittura fu ricordato il suo legame di amicizia con la Tigre Arkan, criminale di guerra leader delle truppe serbe ai tempi lontani della guerra di secessione in Jugoslavia. Non tutti insomma, usando un eufemismo, gradirono la nomina di Mihajlovic come erede di Prandelli.
Corvino, che aveva azzeccato il primo allenatore (cambiando Guidolin con Cesare), era certo invece che Sinisa avrebbe saputo riportare l’entusiasmo a Firenze. Dopo questa minuziosa ricostruzione passiamo ai fatti. Il calcio di Mihajlovic non era sicuramente accattivante come quello di Montella, la squadra che si ritrovò era letteralmente a fine ciclo. Il primo anno naturalmente, come da prassi, la Fiorentina inaugurò la stagione col gravissimo infortunio di Jovetic, il più complicato del paradigma delle rotture del crociato. JoJo saltò un campionato intero, la Fiorentina si salvò senza divertirsi, ma anche senza soffrire. Il secondo anno invece Sinisa partì con una ghigliottina sulla testa, che si abbassò dopo poche partite. Arrivò Delio Rossi, la squadra viola si salvò con Guerini alla penultima giornata. Lì la storia della Fiorentina cambiò radicalmente. E anche quella di Mihajlovic, che dopo la parentesi alla guida della Serbia, è tornato in Italia e con la Sampdoria sta disputando un campionato miracoloso. E’ un uomo leale, un bravo allenatore che non ha mai detto una parola contro Firenze. Se vi va, salutatelo. Se vi va, applauditelo.
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