Come nel ’56… omaggio alle nostre leggende

Come nel ’56… omaggio alle nostre leggende

“Torneremo grandi ancor come nel ‘56”. E’ una delle canzoni che i tifosi viola in curva Fiesole spesso intonano. Nel 1956, ovvero esattamente il 6 maggio di 63 anni fa, la Fiorentina del presidente Enrico Befani e dell’allenatore Fulvio Bernardini conquista matematicamente il suo primo scudetto, pareggiando 1-1 (alla sestultima giornata) allo stadio Valmaura di Trieste con la Triestina, grazie a un gol del brasiliano Julinho, voluto fortemente dal tecnico dopo averlo ammirato ai mondiali in Svizzera del 1954. E così Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta (o Orzan), Segato, Julinho, Gratton, Virgili, Montuori, Prini, ovvero i titolarissimi (a Trieste ci sono, però, tra gli altri le riserve Mazza e Scaramucci) entrano di diritto nella storia del club viola.

UNA CAVALCATA TRIONFALE Inizia con un pareggio a Busto Arsizio contro la Pro Patria per 2-2 e termina con la contestata sconfitta a Marassi con il Genoa per 3-1 per l’arbitraggio di Jonni di Macerata. Comunque per 33 giornate la Fiorentina non subisce sconfitte e al record di imbattibilità la squadra tiene parecchio. Ma i viola si tolgono comunque grandi soddisfazioni battendo la Juve a Torino e vincendo a Milano sia con il Milan che con l’Inter.

NUMERI DA RECORD In un campionato di 34 giornate la Fiorentina ne conquista parecchi. Ottiene il maggior numero di vittorie, 20 (8 delle quali in trasferta), e subisce il minor numero di sconfitte, una, a Marassi con il Genoa nell’ultimo turno (13 sono i pareggi). E inoltre vanta la miglior difesa con solo 20 reti al passivo (con un portiere di 22 anni, Sarti, alla sua prima stagione da titolare), 6 delle quali appena subite al Comunale. I viola rimangono in testa alla classifica per 28 giornate. E nelle ultime 27 lo sono da soli. La Fiorentina è la prima squadra non di Torino o di Milano a vincere lo scudetto nel dopo guerra.

IN TESTA ALLA SETTIMA GIORNATA Pareggiando 1-1 a Vicenza (rete di Prini) la Fiorentina raggiunge la capolista Inter sconfitta a Marassi dalla Sampdoria per 3-2. E’ il 30 ottobre 1955. La settimana dopo, il 6 novembre, battendo al Comunale il Torino per 2-0 (doppietta di Montuori ancora negli ultimi 360 secondi di gioco) rimane in testa da sola fino alla conquista del titolo. E non risentirà neppure dell’assenza di capitan Rosetta (il libero, ovvero uno dei due difensori centrali) infortunatosi a Padova alla ventesima giornata. Al suo posto giocherà il mediano Orzan con grande autorevolezza. Alla fine avrà 12 punti di vantaggio sul Milan (che si era laureato campione d’Italia la stagione precedente e che batte sia Milano per 2-0 che a Firenze per 3-0) secondo in classifica in un’epoca in cui la vittoria viene premiata con 2 punti invece che con 3 come adesso.

UNA ROSA DI SOLI 18 GIOCATORI E’ un numero davvero esiguo. E lo è ancora di più se si pensa che tra le riserve Bartoli, Carpanesi e Scaramucci disputano appena 2 partite, Mazza 4 e Bizzarri 5. Il portiere di riserva Toros va poi in campo 9 volte. Insomma, in pratica, Bernardini si affida solo a 12 giocatori. E’ vero che non ci sono le coppe europee e neppure la Coppa Italia. Ma insomma il campionato è comunque lungo e non è facile gestire così poche risorse. Gratton e Segato sono i sempre presenti. Francesco Rosetta, il capitano, con i suoi quasi 34 anni è il più anziano. Giuseppe Virgili, il bomber con le sue 21 reti (più di un terzo di quelle realizzate complessivamente dalla squadra), che compie 21 anni nel luglio di quel magico 1956 è il più giovane.

IL GRUPPO L’ala destra brasiliana Julinho è il giocatore di maggior classe della squadra, uno che con le sue finte manda a terra gli avversari. E’ lui uno dei 4 nuovi acquisti insieme a Montuori e alle riserve Toros e Mazza. Ma l’arma vincente della Fiorentina è il gruppo. E non è un semplice modo di dire. I giocatori sono tutti amici tra di loro. Si aiutano l’uno l’altro in campo e stanno insieme anche fuori dal campo con le rispettive famiglie. E quasi tutti (i fiorentini e i toscani sono pochi) decidono di rimanere, a fine carriera, a vivere a Firenze.

Ruben Lopes Pegna

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